Manipolazione dei dati e causa a Google
Negli ultimi anni Google ha affrontato diverse controversie legali e una delle più significative è stata l’azione antitrust intentata dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti per la “manipolazione” dei dati e dei risultati.
…nulla di nuovo per gli specialisti di settore che come noi, studiano gli algoritmi al fine di portare soluzioni vincenti alle realtà italiane, grazie il Growth Hacking e la potenza dell’analisi digitale.
Questa causa ha catturato nel mondo l’attenzione di molte persone ed è tuttora uno dei principali argomenti di dibattito nel settore della tecnologia e delle leggi antitrust.
Tutto l’opposto di cosa succede invece in Italia.
Capire tuttavia quali approcci e comportamenti hanno i più importanti monopolisti e gestori dell’informazione mondiale (motori di ricerca) è dal nostro punto di vista fondamentale. Non solo per capire quali opportunità si posso sfruttare, ma anche per realizzare quale “distorsione della realtà” potrebbe subire gli utenti, quando i dati vengono trattati ad arte da attività di filtraggio e manipolazione.
È quindi fondamentale conoscere questi aspetti se si vuole in qualche maniera cercare di “rimanere liberi” da condizionamenti esterni. Soprattutto nel caso delle aziende italiane, che hanno assolutamente bisogno di capire come sfruttare la potenza del mondo online per decuplicare i fatturati, per competere con l’evoluzione dei mercati e degli utenti, oltre per fronteggiare orde di competitors sempre più performanti.
L’oggetto del contendere
In estrema sintesi, il Dipartimento di Giustizia Americano nelle scorse settimane ha sostenuto che Google stia alterando e monopolizzando il mercato delle ricerche online, compresi i motori di ricerca e la pubblicità online.
Un comportamento che avrebbe limitato la concorrenza, ostacolato l’innovazione e danneggiato aziende e consumatori.
In particolare, Google è stata accusata di stipulare accordi esclusivi con i produttori di dispositivi mobili (Apple) per rendere il suo motore di ricerca predefinito, impedendo così a concorrenti come Bing o DuckDuckGo di ottenere una quota significativa di utenti.
Non solo.
Eric Lehman, un ingegnere software che ha lavorato a lungo nell’industria della tecnologia e in particolare con Google, ha inoltre affermato che uno dei principali fattori di ranking, utilizzati da Google, è il numero di click che un sito web riceve dai risultati di ricerca.
In altre parole, è stato svelato con un effetto “bomba atomica” che i siti web che ricevono più click sono i più favoriti ad essere posizionati in alto nei risultati di ricerca.
…ma perché è stato uno schock per i presenti e per il mondo intero, ventilare la manipolazione dei dati e quindi dei risultati?
Ebbene, tentare di basare il ranking (posizione all’interno della pagina di risposta di Google) sui click, significherebbe favorire i siti web di grandi aziende che hanno a disposizione risorse finanziarie significative. In grado quindi di investire ad esempio di più in pubblicità che generano click e in tutte quelle costose attività di marketing digitale, SEO e SEM, che servono ad aumentare l’interazione con le pagine, le pubblicità, le landing page, gli articoli e via discorrendo. Quindi i click.
Inoltre questo tipo di approccio potrebbe limitare la diversità nei risultati di ricerca, poiché i siti web meno conosciuti con una certezza quasi assoluta andrebbero a soccombere nella competizione organica con con quelli più popolari.
Capito l’enorme problema che le aziende “normali” corrono?
Questa è l’ennesima dimostrazione della sproporzione tra forti e deboli di cui abbiamo già parlato nel precedente articolo.
Favorire la visibilità a pagamento rispetto quella organica
Per alcuni studiosi e ricercatori tentare di manipolare i dati ed i risultati di ricerca, è la conferma che Google sta cercando di limitare l’attività SEO, per azzoppare tutte quelle benefiche iniziative che portano alla visibilità le pagine web ed in caduta le realtà proprietarie.
Quindi a scalare posizioni all’interno della ricerca organica (quella naturale) senza ricorrere alla pubblicità a pagamento che è la principale fonte di guadagno di queste enormi aziende mondiali.
Se si capisce quest’aspetto, che è la base sui cui poggiano i loro miliardari modelli di business, tutto diventa immediatamente più semplice da capire. Compreso il più che probabile tentativo di ricorrere alla manipolazione dei dati e dei risultati per “distrarre le masse” e quindi per condizionarle.
Un pericoloso approccio che nessuno può escludere ed è proprio per questo motivo che le autorità governative americane stanno investigando.
Comunque sia, ricordiamo che l’attività di ottimizzazione dei motori di ricerca conosciuta come SEO (Search Engine Optimization), che anche noi garantiamo alla nostra clientela, è nata proprio per favorire la relazione con i motori di ricerca, che possono così capire chi hanno davanti in termini di prodotto, servizio, brand, ecc. Assicurando il rispetto di tutte quelle regole tecniche ovviamente non scritte, che tuttavia portano o limitano la visibilità all’interno del mondo digitale e che inchiodano sul fondo delle fosse delle Marianne, gran parte della aziende.
…soprattutto quelle italiane.
Senza la SEO non si va infatti da nessuna parte e molto spesso, grazie la sua assenza, si rischia di scivolare erroneamente nella costosa e per certi versi pericolosa pubblicità digitale, proposta dai soliti professionisti da strapazzo che poco sanno di data e competitive analysis, di reputazione e marketing digitale strategico.
Non finiremo mai di dirlo: la SEO è un passaggio obbligato per attivare o migliorare il posizionamento organico nei risultati di tutti i motori di ricerca.
Google in primis.
Infine, aggiungiamo noi, l’eventuale e scellerato uso dei click come fattore di ranking potrebbe spingere alcune aziende a cercare di manipolare il sistema per ottenere una posizione più alta nei risultati di ricerca. Ossia a favorire pratiche poco etiche di ottimizzazione, note come “click fraud,” dove i clic vengono generati artificialmente per migliorare il posizionamento.
…ma anche in questo caso, chi potrebbe sfruttare queste pratiche?
Tutti?
Assolutamente no!
Algoritmi sempre più sofisticati
In questi oscuri e ben celati scenari non bisogna tuttavia considerare solo la manipolazione dei dati e dei risultati, perché i sempre più sofisticati e performanti algoritmi, sono quegli elementi di filtraggio che conducono comunque l’utente a ricevere una risposta al loro intento di ricerca, piuttosto che un’altra.
Google utilizza infatti una serie di algoritmi per determinare i risultati delle ricerche.
…e due di questi algoritmi, BERT e MUM, sono stati guarda caso menzionati in relazione alla causa antitrust di cui stiamo parlando.
BERT (Bidirectional Encoder Representations from Transformers) è un algoritmo di Google che cerca di comprendere meglio il significato delle parole in una frase, migliorando così la qualità delle ricerche. BERT è stato introdotto da Google nel 2019 ed è un significativo passo avanti nell’evoluzione degli algoritmi di ricerca rispetto la concorrenza.
MUM (Multitask Unified Model) è invece un algoritmo più avanzato, annunciato da Google nel 2021, progettato per gestire ricerche più complesse e comprendere il contesto in modo più completo.
Secondo Google questi algoritmi potrebbero migliorare notevolmente la capacità di rispondere alle domande degli utenti in modo più preciso ed efficace.
…arrogandosi forse il diritto, aggiungiamo noi, di selezionare e presentare all’utente solo le risposte che qualcuno ritiene essere le migliori e non tutte.
Capito cosa potrebbe significare in definitiva la manipolazione dei dati?
Le aziende cosa dovrebbero fare?
La causa antitrust e le affermazioni di Eric Lehman, circa la presunta manipolazione dei risultati, dovrebbero stimolare anche in Italia importanti domande sulla trasparenza e l’equità degli algoritmi di ricerca di Google.
Quindi sulla loro reale o supposta volontà di orientare i consumatori verso un obiettivo rispetto un altro, anche attraverso l’uso della pubblicità digitale a pagamento.
La necessità di ridurre la benefica portata dell’attività SEO che sta spingendo Google a sviluppare algoritmi sempre più sofisticati, dovrebbe inoltre spingere tutti a considerare che all’interno del mondo digitale non ci sono poi così grandi libertà e via di fuga, dalle logiche di business dei motori di ricerca.
Pertanto, indipendentemente da come evolveranno le controversie antitrust e le strategie di ranking di Google, per qualsiasi realtà, pubblica o privata, sarebbe buona norma correre subito al riparo afffidandosi ad un’evoluta web agency. Iniziando immediatamente a costruire un’identità estremamente radicata e referenziata, all’interno di tutti i canali digitali.
Non c’è ancora molto tempo a disposizione e forse sta passando l’ultima carrozza dell’ultimo treno disponibile per la salvezza.